VASCULOPATIA COROIDEALE POLIPOIDALE (PCV)

VASCULOPATIA COROIDEALE POLIPOIDALE (PCV)

Articolo redatto col prezioso aiuto dell’Oculista Dott. Filippo Confalonieri – Medico Chirurgo Specialista in Oftalmologia.

DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA

La vasculopatia coroideale polipoidale è una malattia descritta per la prima volta da Yannuzzi et al. nel 1982 pensando fosse peculiarità esclusiva delle donne di etnia nera [24]. Ricerche successive hanno chiarito, invece, che la PCV non è altro che uno dei fenotipi di DMLE neovascolare, e che può essere vista con alta frequenza soprattutto negli asiatici, tra cui i giapponesi [25]. In Giappone, infatti, circa la metà dei casi di DMLE essudativa sono PCV ed è particolarmente frequente in uomini fumatori e ipertesi [26]. Nella popolazione caucasica rappresenta circa l’8-13% dei casi di CNV, anche se la sua incidenza potrebbe risultare falsamente ridotta per l’utilizzo non routinario dell’ICGA nei paesi occidentali [27].

La PCV è caratterizzata da una trama di vasi interconnessi, originantesi dalla coriocapillare, dotati di tipiche dilatazioni aneurismatiche sacciformi (polipoidali), generalmente in sede maculare e peripapillare. Tali rigonfiamenti sono spesso visibili all’esame oftalmoscopico come alterazioni di colore rossastro o arancione e di forma sferoidale. È frequentemente associata a distacchi siero-emorragici dell’epitelio pigmentato retinico e del neuroepitelio [27] [28].

 

EZIOPATOGENESI

Negli anni più recenti, l’uso dell’ICGA e, successivamente, della OCT ad alta definizione hanno migliorato la capacità di studiare e capire la fisiopatologia di questa malattia. Tuttavia, ancora oggi restano aperte aree di dibattito sulla vera natura della PCV [29]. Uyama e i suoi colleghi, in Giappone, sono stati i primi a riconoscere la presenza di grandi ectasie vascolari nello stadio patologico precoce della malattia, benché originariamente abbiano interpretato la PCV come un angioma [30]. L’analisi ultrastrutturale di una lesione polipoide di un uomo giapponese di 76 anni ha mostrato la degenerazione della parete in venule ectasiche. Sono state identificate degenerazioni parietali, in arteriole di piccolo calibro e capillari, con ispessimento della membrana basale [31]. In altri studi, nei quali si mirava a chiarire la fisiopatologia della PCV mediante analisi istopatologica, si è giunti alla conclusione che la ialinizzazione dei vasi coroideali e la massiccia essudazione fibrinosa e sierosa fossero caratteristiche prominenti delle lesioni di PCV in tutti i campioni [32]. Inoltre, si sa che le strutture polipoidi si trovano all’interno dello spazio di Bruch e sono composte da cluster di vasi sanguigni dilatati e sottili, circondati da macrofagi e materiale fibrinoso. La colorazione immunoistochimica positiva per il fattore di crescita dell’endotelio vascolare nell’EPR e nelle cellule endoteliali vascolari suggerisce che questo complesso fibrovascolare sia a tutti gli effetti un tipo di neovascolarizzazione coroideale sottoretinica [33]. Nonostante il VEGF abbia sicuramente un ruolo nella patogenesi della PCV, tuttavia, diversi studi, che mostrano una minore efficacia della terapia anti-VEGF rispetto alla tipica CNV di tipo 1, suggeriscono che lo sviluppo di PCV sia meno influenzato dalle vie legate al VEGF [29].

Per riassumere, dunque, si può concludere affermando che la PCV è caratterizzata da una neovascolarizzazione coroideale polipoidale nella forma di una rete vascolare ramificata, nonché da un’essudazione sierosa e fibrinosa ed emorragie subretiniche, che portano al distacco dell’EPR e, talvolta, al distacco della retina neurosensoriale [27]. L’immagine seguente riassume schematicamente il processo patogenetico della malattia.

(A) La rete vascolare patologica si propaga nello spessore della membrana di Bruch (B) Con lo sviluppo dei neovasi iniziano a manifestarsi fenomeni essudatizi sierosi e/o sieroemorragici che causano uno o più distacchi dell’epitelio pigmentato (DEP) (C) Col progredire dei fenomeni di cui sopra, i neovasi si distaccano dalla membrana di Bruch per mantenersi a contatto con il sovrastante EPR ormai sollevatosi completamente (D) Mostra una scansione OCT nella quale una lesione polipoidale aderisce al lato posteriore dell’EPR senza prendere contatto con la membrana di Bruch [24].

 

SEGNI E SINTOMI

La malattia esordisce solitamente con un rapido calo unilaterale dell’acuità visiva in pazienti oltre la mezza età. Le principali manifestazioni cliniche secondarie a PCV si repertano a livello del segmento posteriore. Distacchi sierosi e sieroemorragici, di varia entità, della retina neurosensoriale e dell’epitelio pigmentato, peripapillari o maculari, sono il segno più frequente [28]. Laddove l’anatomia retinica è conservata, è possibile apprezzare il profilo delle dilatazioni aneurismatiche dei vasi coroideali, soprattutto se di grandi dimensioni e se vi è atrofia dell’EPR sovrastante [29]. La progressione della patologia può essere lenta e con decorso cronico-recidivante, accompagnata da episodi intermittenti di leakage sieroso e sieroemorragico, che arriva sino a ledere irreversibilmente la macula e la capacità visiva. Tuttavia, fino al 50% dei pazienti può avere una prognosi relativamente favorevole, addirittura talvolta con risoluzione spontanea degli essudati e delle emorragie [28]. Di regola, la presenza di PCV in un occhio significa che il controlaterale è ad alto rischio di sviluppare i medesimi segni e sintomi [29].

 

DIAGNOSI

L’indagine diagnostica fondamentale a porre diagnosi di PCV è la ICGA associata a OCT. All’angiografia con verde di indocianina si possono apprezzare noduli iperfluorescenti nel contesto di un reticolo di vasi coroideali dilatati, circondati da aree ipofluorescenti nella fase precoce, e che poi divengono iperfluorescenti nella fase tardiva a causa della fuoriuscita di colorante dai vasi patologici (leakage) [28].

 

TERAPIA

Può essere articolata caso per caso utilizzando principalmente tre approcci non mutualmente esclusivi: iniezioni intravitreali di anti-VEGF, terapia fotodinamica (PDT) e fotocoagulazione laser [28].

Le iniezioni intravitreali di anti-VEGF hanno dimostrato un’efficacia minore nella PCV rispetto alla DMLE neovascolare. Nel 2008, Gomi e colleghi, dopo valutazione ICGA di controllo a tre mesi dall’inizio del trattamento concludevano, infatti, che l’iniezione intravitrale di bevacizumab può ridurre il liquido di essudazione causato da PCV, ma sembra inefficace per diminuire le anomalie neovascolari coroideali. Questa ipotesi è coerente con la constatazione che i livelli di VEGF nell’umore acqueo di pazienti affetti da PCV siano significativamente inferiori a quelli colpiti da DMLE neovascolare [34].

La combinazione di iniezioni intravitreali con terapia fotodinamica può essere più efficace del solo utilizzo delle prime [35]. Nella terapia fotodinamica, un farmaco fotosensibile chiamato verteporfina viene iniettato nel torrente ematico, per poi raccogliersi anche nei vasi sanguigni anomali submaculari. La luce laser è quindi diretta verso il fundus oculi, dove attiva la verteroporfina, creando coaguli ematici che bloccano i vasi sanguigni anomali. Così facendo la PDT riduce l’accumulo di liquido sotto la retina che distorce la forma e la posizione della macula, e limita la crescita di tessuto cicatriziale e di membrane sottoretiniche, riducendo e rallentando la perdita di vista centrale [27].

La fotocoagulazione laser delle lesioni polipoidali, infine, può essere utile in casi molto selezionati [28]. Con questa tecnica, la luce del laser viene indirizzata e assorbita dai polipi vascolari e convertita in energia termica, aumentando la temperatura del tessuto di circa 20 – 30 gradi Celsius. Questo denatura le proteine tissutali attraverso lesioni termiche, le quali portano alla eliminazione localizzata delle cellule per necrosi coagulativa. Nel tempo, queste aree di tessuto termicamente danneggiato lasceranno come residuato delle cicatrici, da cui l’indicazione terapeutica alla retina extrafoveale [36].

FONTI:

  1. N. Yoshimura, M. Hangai: «OCT Atlas». Springer, 2014, pp. 191-211.
  2. Sho K, Takahashi K, Yamada H, et al. Polypoidal choroidal vasculopathy: «incidence, demographic features, and clinical characteristics». Arch Ophthalmol. 2003; 121:1392–1396 doi:10.1001/archopht.121.10.1392.
  3. I. Maruko, T. Iida, M. Saito, et al.: «Clinical characteristics of exudative age-related macular degeneration in Japanese patients». Am J Ophthalmol, 144 (1) (2007), pp. 15–22.
  4. A. Ciardella, Donsoff IM, Huang SJ, Costa DL, Yannuzzi LA: «Polypoidal choroidal vasculopathy». Survey of Ophthalmology an international review journal, 2004.
  5. B. Bowling: «Kanski’s Clinical Ophthalmology, a systematic approach». Elsevier, 2016, pp. 617.
  6. Y. Imamura, MD, Michael Engelbert, MD, Tomohiro Iida, MD, K. Bailey Freund, MD, Lawrence A. Yannuzzi, MD: «Polypoidal Choroidal Vasculopathy: A Review». Survey of Ophthalmology an international review journal, 2010, Volume 55, Issue 6, Pages 501–515.
  7. M. Uyama: «Choroidal neovascularization, experimental and clinical study». Acta Soc Ophthalmol Jpn, 95 (12) (1991), pp. 1145-1180.
  8. A. Okubo, M. Sameshima, A. Uemura, et al.: «Clinicopathological correlation of polypoidal choroidal vasculopathy revealed by ultrastructural study». Br J Ophthalmol, 86 (10) (2002), pp. 1093–1098.
  9. H. Nakashizuka, M. Mitsumata, S. Okisaka, et al.: «Clinicopathological findings of polypoidal choroidal vasculopathy». Invest Ophthalmol Vis Sci, 49 (11) (2008), pp. 4729–4737.
  10. H. Terasaki, Y. Miyake, T. Suzuki, et al.: «Polypoidal choroidal vasculopathy treated with macular translocation: clinical pathological correlation». Br J Ophthalmol, 86 (3) (2002), pp. 321–327.
  11. F. Gomi, M. Sawa, H. Sakaguchi, et al.: «Efficacy of intravitreal bevacizumab for choroidal vasculopathy». Br J Ophthalmol, 92 (1) (2008), pp. 70–73.
  12. Sakai T, Okano K, Kohno H, Tsuneoka H: «Three-year visual outcomes of intravitreal ranibizumab with or without photodynamic therapy for polypoidal choroidal vasculopathy». Acta Ophthalmol. 2016 Dec;94(8):e765-e771. doi: 10.1111/aos.13130. Epub 2016 May 30.
  13. K. Nishijima, M. Takahashi, J. Akita, et al.: «Laser photocoagulation of indocyanine green angiographically identified feeder vessels to idiopathic polypoidal choroidal vasculopathy». Am J Ophthalmol, 137 (4) (2004), pp. 770–773.

Articolo tratto, con permesso dell’Autore, dalla tesi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia del Dott. Filippo Confalonieri, redatta presso la Clinica Oculistica della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, Università degli Studi di Pavia, 2017.